Serata in Azimut con Daniel Fontana al Team Bike Gussago

Serata Daniel Fontana.
Martedì 7 marzo ore 19.30 Il Triathlon Team Bike Gussago si ritrova a Brescia. Sede consueta, Azimut, sempre grazie per l’accoglienza e per la generosità di Ivano Penna e Paolo Zola. Prendiamo contatto con l’ospite: Daniel Fontana. Due olimpiadi, vittorie in ogni distanza del triathlon. Lo osserviamo da lontano e da vicino scambiamo qualche parola di circostanza. Ci annusiamo per riconoscerci. Ore 20: inizia la serata. Daniel si presenta con un breve filmato sull’Ironman. Riscaldamento. Prende la parola e si introduce con breve accenni, misurati e di pura didascalia. Olimpiadi fatte, vittorie più significative, primati ottenuti. Il giusto per consentire a tutti di prendere le misure del suo essere atleta. Sceglie di narrare, di come ha pensato, durante i consueti allenamenti, di raccontarsi. Opta per la sua prima riuscita a Kona. Scelta rischiosa, potrebbe facilmente scivolare nell’auto-agiografia, invece, stupore, parla delle sue paure. I dubbi di non essersi preparato a puntino, di aver sbagliato i programmi, di essersi allenato troppo o troppo poco. Trascorrono i minuti e la tensione si allenta. Entrata in acqua, l’attesa del “cannone”. Via, a tutta. Stupore: i pro, gli élite partono al massimo senza alcuna prudenza. 500 metri sparati, non perdere la scia, stare attaccati ai primi. Si procede allungati oltre i limiti di velocità a noi consentiti, o anche solo sognati. Frazione bike. Anche qui avvio da short crono: 50 km/h di media. Si formano i gruppetti che già preludono all’ordine d’arrivo. Il nostro si impone di rispettare tabelle, programmi, battiti cardiaci, pensieri che lo hanno accompagnato negli infiniti allenamenti. Tutto salta. Arriva la salita e i fuori giri non si contano. Presi i battistrada. In discesa lieve, impercettibile recupero. Temperature oscene e vallonato omicida. Il vento caldo provvede a togliere il sudore dagli occhi. Mangiare, bere, sali si alternano fino alla conclusione della frazione. Cambio rapido, perfetto, senza sbavature. Eppure: la schiena non si raddrizza. Preferisce mantenere una curvatura oscena, almeno per la corsa. Gli avversari incombono: calma, ripetersi che presto, almeno si spera, scoppieranno. Ripreso possesso del corpo la velocità torna ad essere amica. Si supera, si viene superati, si assiste con moderata allegria ai ritiri. Finalmente l’albero dell’arrivo. La cronaca è un canovaccio. Amicizia, fatica, pensieri si susseguono, si addensano, danno significato alla prova, al vivere da sportivo. Svelano il carattere, la personalità di Daniel. Le domande si infittiscono: alimentazione, preparazione, tempi, lunghi lenti e corti veloci, riposi, scarichi, infortuni e via discorrendo. Alcune frasi colpiscono lo scriba. Sono lievi, ma di senso profondo. Il tempo scorre, il dolore passa. Ma è altro che induce a riflettere. Il volersi bene. Imparare a rispettare il proprio corpo. Ascoltarlo e proteggerlo dalle tentazioni, dagli imperativi imposti dal business, dalla vittoria a tutti i costi. Rammenta il noto maligno toscano, dei fini che giustificano i mezzi. Mai motto più osceno fu pronunciato dal perfido consigliere. Il meno noto, ma più fraterno, toscano ci rammenta che i mezzi contengono i fini, anzi ne sono la sostanza, li svelano nella loro più intima essenza. L’Ironman non è un traguardo da raggiungere costi quel che costi, espressione di una cultura sportiva bacata, sporca, sozza di doping. L’Ironman, metafora della vita, è nelle regole morali che ognuno di noi si dà. L’arrivo è solo per coloro che le accettano e le rispettano; gli altri sono solo dei numeri per il grande business. Per affrontare un ironman ci vuole umiltà. Grazie Daniel per essere una brava persona.

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